#testamentospirituale

  • bellezzanelquotidiano13

    LA PACE DI CHI È SFIORATO DALLA CAREZZA DI DIO

    Mi sono seriamente interrogata sul senso della vita, il giorno della nascita della mia primogenita; mentre ammiravo quel tenero miracolo sorridendo alle lacrime di gioia che sgorgavano da profondità a me sconosciute, successe un imprevisto che percepii come un ammasso di paure spaventose che mi rotolavano addosso: ora che l’amore sublime aveva bussato alla mia porta, cosa sarebbe successo se l’avessi perso? Sarei sopravvissuta?

    La valanga delle angosce mi tormentava, dovevo uscire da quell’impasse, ma per farcela mi serviva Qualcuno che mi conducesse oltre i limiti terreni, per mostrarmi la vita eterna e l’illusorietà del morire umano.

    E quel qualcuno arrivò e non fu di certo come me l’ero immaginato io.

    Si chiamava Stefan, era giovane, aveva 3 bimbi e, con a fianco la moglie Milena, aveva raggiunto tutti gli obiettivi umanamente desiderabili quali successo, potere, amore, famiglia, dedizione verso il prossimo. Poi, nel bel mezzo della felice corsa, Stefan era stato stroncato da una diagnosi mortale.

    In quell’inchiodata obbligata di vita succedeva, tuttavia, una cosa strana: lui e Milena accettavano la malattia con la serenità di chi si fida della Vita mentre io, che ero solo un’amica, non ce la facevo.

    Così, mentre Stefan scherzava con sua moglie su come comunicare una volta valicata la Grande Porta, e io pensavo di trovarmi in una casa di pazzi, era già in viaggio una lettera-faro che mi avrebbe indicato la strada da percorrere per valicare i confini del mondo.

    Milena aprì la busta la sera in cui Stefan chiuse gli occhi e lesse:

    Durante la mia malattia ho cercato di tutto. Sono passato dalla preghiera a Dio e ai santi, alla pranoterapia, alla chemio-, alla radio-, alla chirurgia. A tutti affidavo la speranza del miracolo della guarigione.

    Il più onesto è stato Dio, mandava sempre e solo coraggio e serenità. Dio, si vede, non ha bisogno di spiegare, di dimostrare. Ha creato un mondo che comprende la malattia, la malformazione, la morte.

    E per morte intendo solo il distacco da una creazione a dir poco affascinante dalla quale ci dobbiamo separare proprio mentre la stiamo gustando al massimo. Esattamente l’opposto di quello che facciamo: troviamo una persona eccezionale, ce ne innamoriamo e la leghiamo a noi con un patto per la vita.

    Troviamo un lavoro entusiasmante e via che ci tuffiamo. Passiamo i nostri giorni a cercare le cose più belle, più buone, più gustose e, quando le troviamo, ci rallegriamo.

    Può Dio rovinarci tutto questo o aver escogitato l’inganno più totale per la fine dei nostri giorni? No, non un Dio che è Padre.

    E allora la conclusione è semplice: se possedere ci dà una tale gioia, arriva il momento di possedere qualcosa di massimo per il quale vale la pena di lasciare tutto, talmente tutto che anche il matrimonio - la forma più alta di amore fra due persone - viene sciolto.

    Gioite con me, dunque. Magari, passato qualche tempo, sarei felice se il giorno del mio personale incontro con Dio, lo trasformaste in una piccola festa.

    Saremo così finalmente in grado di saltare da una medievale tristezza, al vero regno di Dio (…)”.

    Milena arrotolò il foglio e mi guardò. Nelle mie lacrime c’erano dolore, ma non disperazione, e pace. La pace di chi è appena stato sfiorato dalla carezza di Dio.

     
    #30 gennaio 2021
    #GiornaleDiBrescia
     

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  • GdB3

     13 ottobre 2020 

    LA NOSTRA EREDITA' IN UNA SCATOLA 

     
    In uno dei più grandi poemi epici indiani, il Mahabharata, fu chiesto al saggio Yudhisthira: «Di tutte le cose della vita, qual è la più stupefacente?» La risposta fu: «Che un uomo, vedendo gli altri morire intorno a lui, non pensi mai che anch’egli morirà».

    Eppure siamo impregnati di morte almeno quanto lo siamo di vita, ma la fretta quotidiana riempie ogni anfratto del nostro tempo e, per la morte, sembra esistere un orologio che non smette mai di procedere, almeno non per noi, non oggi.

    Mi chiedo: quando apriremo gli occhi sull’ultima alba della nostra vita, cosa avremo lasciato a chi resta? Io propongo THE BOX (la scatola).

    The box si prepara mentre viviamo, è personale e destinata ai figli (e che siano nostri, di amici o parenti, poco importa).
    Si tratta di una scatola di legno con coperchio, all’interno della quale mettere tutto ciò che ci ha fatto crescere, superare una prova, imparare una lezione significativa.

    Ognuno di noi ha un libro che ha fatto la differenza? Ecco che una copia di quel testo troverà spazio nella scatola e, sulla prima pagina, scriveremo una dedica motivando il motivo del nostro dono.

    The box potrà anche ospitare un disegno, un oggetto, una foglia secca (sempre con allegato il nostro perché), oppure una frase scarabocchiata su un foglio in un momento particolare, come: “Oggi ero assalita da ricordi dolorosi, poi ho scoperto due parole che, pronunciate con decisione, ponevano fine al mio star male.
     
    Eccole: ‘Già visto!’. Mi sono infatti accorta, tesoro, che quel logorio interiore, io l’avevo già provato, e allora perché concedergli il bis? L’avevo ‘Già visto!', non faceva parte del momento presente, non avevo bisogno di soffrirne ancora”.

    Quando mia nipote ha compiuto 18 anni, ho chiamato a raccolta tutti i libri importanti della mia vita, li ho acquistati, ho scritto su ognuno di loro il perché quel testo era stato per me significativo, li ho messi in una bella scatola, e glieli ho regalati.

    Li ha letti? Ovvio che no, almeno non a quel tempo, ma anni dopo mi sono sentita dire: “Sai zia che ogni tanto apro la scatola e leggo uno dei tuoi libri?”.

    Mi piace pensare a the box, sia come ad una scatola del pronto soccorso alla quale attingere nei momenti critici, sia come ad un tesoro da scoprire per celebrare le occasioni di gioia.

    Troveranno the box (una o più di una) quando saremo morti e, che sia color legno o pitturata, porterà scritto in bella mostra il nome del destinatario; quel giorno ogni cosa che ci riguarda verrà considerata con un’attenzione nuova.

    The box non può essere per i nostri amici o coetanei, perché con loro viaggiamo paralleli, ci confrontiamo, mentre è la generazione futura quella che, essendo ad una diversa tappa esistenziale, meno ci conosce nel profondo.

    Preparare the box non ha la presunzione di renderci maestri di vita, ma solo di offrire ai nostri figli, oggi poco interessati come è logico che sia, a tematiche per noi fondamentali, una testimonianza che potrebbe rivelarsi una scorciatoia nella loro crescita.

    Del resto, così come le scoperte del passato volte a migliorare il mondo hanno aiutato i posteri, lo stesso potrebbe avvenire sul fronte dell’evoluzione personale e, magari, un giorno la cosa più stupefacente potrebbe diventare che un uomo, vedendo gli altri morire, sorriderà pensando che anch’egli morirà.

    The box, ricordandoci la nostra impermanenza, è un dono per noi che la riempiamo e, allo stesso tempo, diventa dono di se stessi per chi, un giorno, la troverà. Fra oggi e quel giorno c’è lo spazio di un sorriso.
     

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  • La nostra eredità in una scatola

    In uno dei più grandi poemi epici indiani, il Mahabharata, fu chiesto al saggio Yudhisthira: «Di tutte le cose della vita, qual è la più stupefacente?» La risposta fu: «Che un uomo, vedendo gli altri morire intorno a lui, non pensi mai che anch’egli morirà».

    Eppure siamo impregnati di morte almeno quanto lo siamo di vita, ma la fretta quotidiana riempie ogni anfratto del nostro tempo e, per la morte, sembra esistere un orologio che non smette mai di procedere, almeno non per noi, non oggi.

    Mi chiedo: quando apriremo gli occhi sull’ultima alba della nostra vita, cosa avremo lasciato a chi resta? Io propongo THE BOX (la scatola).

    The box si prepara mentre viviamo, è personale e destinata ai figli (e che siano nostri, di amici o parenti, poco importa).
    Si tratta di una scatola di legno con coperchio, all’interno della quale mettere tutto ciò che ci ha fatto crescere, superare una prova, imparare una lezione significativa.

    Ognuno di noi ha un libro che ha fatto la differenza? Ecco che una copia di quel testo troverà spazio nella scatola e, sulla prima pagina, scriveremo una dedica motivando il motivo del nostro dono.

    The box potrà anche ospitare un disegno, un oggetto, una foglia secca (sempre con allegato il nostro perché), oppure una frase scarabocchiata su un foglio in un momento particolare, come: “Oggi ero assalita da ricordi dolorosi, poi ho scoperto due parole che, pronunciate con decisione, ponevano fine al mio star male.

    Eccole: ‘Già visto!’. Mi sono infatti accorta, tesoro, che quel logorio interiore, io l’avevo già provato, e allora perché concedergli il bis? L’avevo ‘Già visto!', non faceva parte del momento presente, non avevo bisogno di soffrirne ancora”.

    Quando mia nipote ha compiuto 18 anni, ho chiamato a raccolta tutti i libri importanti della mia vita, li ho acquistati, ho scritto su ognuno di loro il perché quel testo era stato per me significativo, li ho messi in una bella scatola, e glieli ho regalati.

    Li ha letti? Ovvio che no, almeno non a quel tempo, ma anni dopo mi sono sentita dire: “Sai zia che ogni tanto apro la scatola e leggo uno dei tuoi libri?”.

    Mi piace pensare a the box, sia come ad una scatola del pronto soccorso alla quale attingere nei momenti critici, sia come ad un tesoro da scoprire per celebrare le occasioni di gioia.

    Troveranno the box (una o più di una) quando saremo morti e, che sia color legno o pitturata, porterà scritto in bella mostra il nome del destinatario; quel giorno ogni cosa che ci riguarda verrà considerata con un’attenzione nuova.

    The box non può essere per i nostri amici o coetanei, perché con loro viaggiamo paralleli, ci confrontiamo, mentre è la generazione futura quella che, essendo ad una diversa tappa esistenziale, meno ci conosce nel profondo.

    Preparare the box non ha la presunzione di renderci maestri di vita, ma solo di offrire ai nostri figli, oggi poco interessati come è logico che sia, a tematiche per noi fondamentali, una testimonianza che potrebbe rivelarsi una scorciatoia nella loro crescita.

    Del resto, così come le scoperte del passato volte a migliorare il mondo hanno aiutato i posteri, lo stesso potrebbe avvenire sul fronte dell’evoluzione personale e, magari, un giorno la cosa più stupefacente potrebbe diventare che un uomo, vedendo gli altri morire, sorriderà pensando che anch’egli morirà.

    The box, ricordandoci la nostra impermanenza, è un dono per noi che la riempiamo e, allo stesso tempo, diventa dono di se stessi per chi, un giorno, la troverà. Fra oggi e quel giorno c’è lo spazio di un sorriso.