COLLEZIONISTI DI «GIUSTE CAUSE» DI RABBIA

Centro di Milano. La piazzetta assolata è attraversata da una strada a senso unico che sparisce dalla mia vista oltre la curva. Due spedizionieri davanti a me sono fermi sulla carreggiata con i loro furgoni. Passano alcuni minuti. Tutto bloccato.

Qualcuno va a vedere cosa succede e torna riferendo di un’ambulanza ferma in mezzo alla strada. Spengo il motore. L’autista del primo furgone ha il vetro abbassato e inizia a suonare il clacson.

“Che senso ha? - mi chiedo - Evidentemente qualcuno sta male”. Ancora colpi di clacson, poi la mano dell’uomo si fissa premuta sul volante generando una sirena sgraziata che, dimentica dell’altrui malessere, dà voce al proprio mal di vivere.

Infine l’autista passa dal grido meccanico alle corde vocali, ululando parolacce contro il personale dell’autolettiga, in un progressivo aumento di oscenità. 

La tensione aumenta. L’uomo ha stretti tempi da rispettare per le consegne e non molla l’assalto verbale. Un infermiere lo raggiunge dicendo: «Mi spiace per l’attesa, ma pensi se fosse sua madre che sta male».

L’uomo risponde secco: «Non mi interessa perché tanto, quella, non è mia madre».
L’autista è accecato dalla fretta della consegna, dal suo indice di efficienza che potrebbe abbassarsi, dal posto di lavoro da mantenere, in un crescendo di paure che gli fanno vedere solo le sue personali urgenze.

Livido di bile me lo immagino tornare a casa e inveire contro la sua donna che ne dirà quattro al figlio il quale, a sua volta, tirerà la coda al gatto. Perché è così che va a finire; quando ci si carica di aggressività, oltre a danneggiare il proprio fegato, si scarica la tensione su chi ci circonda, in una slavina distruttiva che trascina tutti a valle.


Sono i ritmi della fretta ad aver snaturato il cuore dell’uomo, facendogli perdere di vista ciò che conta davvero? Mi chiedo: quando osserveremo la vita dalla prospettiva del nostro letto di morte, le priorità che ci fanno dannare oggi, saranno ancora tali?


Ricordo il mio amico Enrico che, quando tornava a casa a bordo di una piccola utilitaria dopo una giornata di lavoro e 80 km di strade ghiacciate, sostava mezz’ora in macchina per lasciar decantare la tensione accumulata perché “se fossi entrato subito - raccontava - avrei scaricato lo stress sui miei familiari, ma io, a loro, volevo offrire la parte migliore di me”.

Che meraviglia accorgersi della propria tensione e decidere di donare agli altri il lato più luminoso di noi, invece della nostra collezione di ‘giuste cause’ di rabbia.


«Come ti fa sentire portare odio nel tuo cuore? Si attenua con il passare dei mesi? - dice Gesù nel film ‘Maria Maddalena’ a una donna piena di rancore - Si insinuerà nei tuoi giorni, quell’odio, e nelle tue notti, finché non avrà corroso tutto ciò che eri una volta».


Queste parole di Gesù sono un dono per ognuno di noi, perché le nostre personali discariche abbondano di detriti, ma è osservando i rifiuti prodotti dall’ego(ismo) che possiamo decidere di scaricarli sugli altri o di occuparcene, trasformando il terreno della nostra vita in un prato di margherite perché, cantava De André, “dal letame nascono i fior”.

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#25giugno2022
#GiornaleDiBrescia


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